Tutti si affannano a dibattere su Europa sì, Europa no, senza chiedersi il perché. Proviamo a fare un po' di luce.

Il terzo millennio per l’Europa e gli europei è iniziato sotto i migliori auspici dal momento che è stato inaugurato dall’anno giubilare e dall’esordio subito dopo della moneta unica. Avvenimenti epocali che tracciano profonde trasformazioni in campo economico, sociale e politico e che non mancheranno di incidere positivamente sulla pace e il progresso dell’intero pianeta.

Parlare dell’Europa sino a poco tempo fa significava mettere a nudo un groviglio di interessi sconcertanti, di diatribe pericolose, che hanno sconvolto più volte la pace nel mondo ed impedito la sua unità politica ed economica. Queste divisioni, queste pretese egemoniche dei singoli stati hanno di fatto impedito la crescita e l’ordinato sviluppo del vecchio continente, a completo vantaggio delle due superpotenze che hanno tolto agli europei il primato, il privilegio di incidere come nel passato sulla situazione mondiale.

In altri tempi, infatti, Vienna, Londra, Parigi, erano le sedi preferite dove la diplomazia europea esibiva con arte sul tavolo delle trattative le varie esigenze dei singoli stati. La guerra o la pace non era prerogativa, come oggi, di Washington e Mosca e, quel che è peggio, dei soli States.

L’ultima guerra mondiale svoltasi principalmente nel nostro continente, dove massacri e scorrerie degli eserciti dei paesi interessati hanno seminato terrore e lutti, non poteva non creare una serena, sofferta e opportuna autocritica da parte dei più autorevoli stati europei. Si trattava in effetti di capire meglio le origini di tali incomprensioni, di tanti egoismi, che hanno, nel corso di secoli e millenni, messo le nazioni europee l’una contro l’altra armata.

Il primo a mettere il dito sulla piaga fu Churchill, che propose in un famoso discorso, pronunciato all’Università di Zurigo il 19 settembre 1946, la riconciliazione fra la Germania e la Francia per sfruttare in comune il carbone e l’acciaio. In momenti storici diversi, ci sono stati vari tentativi di unificazione europea e la causa principale dei suoi fallimenti fu da attribuire alla spiccata tendenza di ogni dinastia a pretendere di conquistare “armata manu” e porre sotto un unico scettro il resto dell’Europa.

L’assolutismo monarchico, che ebbe il pregio di rafforzare gli stati nazionali, non consentiva in alcun modo che l’unità europea avvenisse a vantaggio di una dinastia e svantaggio delle altre. Lo storico Philippe Wolff, intravide attraverso una sua indagine che già prima del X secolo esistevano elementi unificatori che si possono compendiare “nella fede comune al Cristianesimo e nel sogno imperiale della dinastia carolingia”.

Molti lavoratori europei forse non sanno che i riposi festivi di cui oggi godono ampiamente sono stati istituzionalizzati dal figlio del pio Carlo Magno , che attenendosi alle disposizioni paterne, decretò nell’827 che “secondo la legge di Dio nessun lavoro doveva essere fatto di domenica”. Nell’ottica unitaria sono da collocare i tentativi, in quel periodo assai di moda, di combinare matrimoni tra eredi di diverse dinastie. Il più fortunato erede di simili fusioni dinastiche fu senza ombra di dubbio Carlo V, che ereditò la corona d’Asburgo da parte del padre e la corona di Spagna da parte della madre.

E’ innegabile che ancor oggi la comune fede cristiana rimane un ottimo punto di riferimento per la prospettata unità. Non a caso Carlo V, sul cui impero “non tramontava mai il sole “, alla pari di tanti altri sovrani si fece paladino irriducibile della cristianità. Costoro sapevano bene che le loro pretese egemoniche non potevano raggiungere risultati apprezzabili senza una motivazione, che agli occhi degli altri, potesse apparire formalmente disinteressata, come quella relativa agli ideali religiosi occidentali.

Gli sforzi culturali più significativi circa la concezione unitaria europea vennero fatti nel periodo della rivoluzione illuministica. Montesquieu in “Riflessioni e pensieri inediti” vede addirittura l’Europa come “uno Stato composto da molte province” e ne “L’Esprit des Lois” , del 1748, approfondisce il discorso europeo in senso nazionalistico, affermando persino che “l’Europa è libertà mentre l’Oriente è dispotismo”.

Quantunque a livello teorico gli illuministi come Rousseau agognassero uno stato unitario europeo: “una vera confederazione, la quale, unendo i popoli con legami simili a quelli che uniscono gli individui, sottometta ugualmente gli uni e gli altri all’autorità delle leggi, per dare all’Europa la forza e la solidità di un vero corpo politico”, nella realizzazione pratica si rivelò un vero e proprio insuccesso.

Il figlio della rivoluzione illuministica, Napoleone Bonaparte, l’unico personaggio che poteva tradurre in pratica tali concetti, tendeva in ogni sua azione, sempre ed unicamente a rafforzare l’egemonia francese e il potere della sua vasta parentela. Da allora ad oggi molte cose sono cambiate sino all’istituzione di un vero e proprio Parlamento europeo e alla realizzazione di un’unica moneta quale l’ Euro.

Luigi XIV, il fautore più autorevole dell’assolutismo monarchico, quando nel 1681 partecipò di persona alla presa di Strasburgo, servendosi di un pretesto giuridico infondato, certamente non immaginava che, tre secoli dopo, esattamente il 17 luglio 1979, la stessa città sarebbe stata conquistata da 410 rappresentanti di diverse nazioni libere europee non in nome della “grandeur de la France”, bensì all’insegna dell’agognata unità europea.

Le basi di un avvenimento così importante vennero poste già il 7 maggio del 1948, allorquando si riunì all’Aja un congresso che, in maniera apparentemente informale, concentrò il dibattito sulla costituzione di un parlamento europeo, sulla unione doganale ed economica, nonché sulla costituzione di un esercito comune. Animatori del congresso: Churchill, De Gasperi, Monnet, Schumann, Spaak.

Gli atti danno i primi effetti quando Schumann il 9 maggio del 1950 propose ufficialmente la costituzione di un organismo comune tra Francia e Germania per lo sfruttamento del carbone e dell’acciaio. Il 18 aprile 1951 viene ratificato a Parigi il trattato istitutivo della Comunità Economica Europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), con la partecipazione dell’Italia, del Belgio, dell’Olanda, del Lussemburgo, della Francia e della Germania. Nel trattato era prevista l’istituzione di un piccolo parlamento delle nazioni interessate, che trovò immediata applicazione nel settembre 1952 a Strasburgo, dove venne eletto come primo presidente Paul Henry Spaak.

Il concetto di unità europea via via si allarga sino al punto di cercare di concretizzare l’idea di un esercito comune europeo con la creazione della Ced (Comunità Europea di Difesa) nell’ambito del quale avrebbe dovuto trovare posto il riarmo tedesco. Tale iniziativa non ebbe i risultati auspicati in quanto il parlamento francese votò contro, rallentando in questo modo il processo di integrazione europea. La delusione provata per il fallimento della Ced indusse gli europeisti a pensare che insistere sulla “unità politica e militare senza prima aver stabilito solide premesse economiche sarebbe stato un errore”. Tenendo conto di questa considerazione gli sforzi di integrazione europea vennero rivolti soprattutto in campo economico e finanziario.

Nel giugno del 1955 durante una riunione dei ministri degli esteri dei sei paesi della Ceca, tenutasi a Messina, venne compiuto un ulteriore passo verso l’unità europea con la proposta caldeggiata da Monnet e Spaak di istituire due nuovi organismi: il Mercato Comune e l’Euratom. Due anni dopo, il 25 marzo 1957 vennero firmati i relativi accordi con i cosiddetti “patti di Roma”. Ma un’ombra si aggirava sul processo allora in corso: l’Inghilterra decise di organizzare l’Associazione Europea di Libero Scambio (Efta), comprendente anche la Svizzera, l’Austria, il Portogallo, la Svezia, la Norvegia e la Danimarca, in contrapposizione al Mec e definendo polemicamente questo ultimo “il club degli arricchiti”. L’iniziativa inglese si dimostrò sterile e priva di risultati tanto che alla fine del luglio 1961 la stessa Gran Bretagna chiese ufficialmente di entrare nella Comunità Europea, seguita a ruota dalla Danimarca e dall’Irlanda.

Il processo di integrazione continuò anche se lentamente, e l’8 aprile 1965 a Bruxelles le tre comunità (Ceca, Mec ed Euratom) si sono fuse in una sola, dandosi un solo Consiglio dei Ministri e una sola Commissione. Un’accelerata in questo senso è stata data successivamente con l’ingresso nella Comunità Europea della Spagna e della Grecia. L’istituzione poi della moneta unica europea cui hanno partecipato inizialmente 12 stati sui 15 aderenti alla CEE, rappresenta senza dubbio il primo passo, il più importante, per la completa unificazione del vecchio continente in tutti campi, compreso quello politico e militare. Attualmente l’Europa sulla carta è la prima potenza economica del mondo e gli stati membri che hanno aderito alla moneta unica sono venti. La presenza degli stati comunitari, a livello di esportazione, è superiore ad ogni altra potenza mondiale. Il nocciolo della futura unità europea consiste nella volontà, spesse volte mancante, di tutti gli stati membri di darsi una maggiore coesione politica, rinunciando a interessi di parte, che possono da soli infliggere duri colpi al processo di integrazione in corso.

La prevista estensione alle nazioni dell’Est fa ben sperare sul futuro non solo del vecchio continente ma del mondo intero in quanto la cristianità presente in tutto il territorio, sia in veste cattolica, ortodossa e protestante è presente in maniera massiccia. Si tratta in effetti di dare all’Europa un peso politico direttamente proporzionale al suo potenziale economico. In questo contesto la cristianissima Sardegna, data la sua fortunata posizione geografica può e deve svolgere un ruolo di tutto rispetto. Sappiamo tutti che nella nostra isola, complice il forzato isolamento, è sempre stato difficile far penetrare usanze e costumi d’importazione, ma sappiamo anche che una volta acquisiti è molto difficile sradicarli.

Se è, vero come è vero, che il cristianesimo, diffusosi quasi dappertutto nel mondo conosciuto di allora, ebbe qualche difficoltà nella conversione delle popolazioni dell’interno della Sardegna. Attraverso un documento pontificio, acquisito e reso pubblico dagli storici, abbiamo appreso che addirittura nel 578 d.c. il Papa Gregorio Magno inviò un missionario dal capo tribù degli Ilienses Ospitone con una lettera, nella quale lo esortava ad aiutare il latore del messaggio nell’opera di conversione al cristianesimo della sua gente, rammaricandosi del fatto che adorasse ancora le pietre e il legno.

Sarà un caso oppure un segnale evangelico secondo il quale “gli ultimi saranno i primi”, ma oggi quelle popolazioni sono forse il fiore all’occhiello della cristianità mondiale.      

L’Europa è sempre esistita poiché i popoli che la compongono hanno sempre avuto una fede, un modo di vivere e di pensare, che pur nella diversità li ha sempre uniti. Il modo con cui sta avvenendo l’integrazione europea è l’unico possibile poiché non è basata come nel passato remoto e recente sulla conquista, bensì sulla libera adesione popolare, nel pieno rispetto dell’autodeterminazione dei popoli.

E la Sardegna nuragica, quella di Ampsicora, del Papa Simmaco, di Eleonora d’Arborea, di Giovanni Maria Angioi, degli eroi della Brigata Sassari e, perché no, anche nostra, potrà affacciarsi con orgoglio nella finestra del mondo. “Se l’aurora arderà sui tuoi graniti/ tu lo dovrai o Sardegna ai nuovi figli”. I destinatari di quei versi di speranza del grande poeta nuorese Sebastiano Satta siamo senz’altro noi e come tali non possiamo ignorarli ma farli nostri.

Siamo convinti che nell’Europa dei popoli auspicata, da Mario Melis, la Sardegna può svolgere da ponte come ambasciatrice di pace nel mediterraneo e nel continente africano. Un’Europa, che in un futuro non lontano, potrebbe estendersi dall’Atlantico agli Urali, senza quei muri e quegli steccati, che un Papa coraggioso e forte come San Giovanni Paolo II ha contribuito in maniera determinante a eliminare e abbattere.

Una dottrina cristiana papale vincente, che potrebbe un domani essere in grado di neutralizzare con un Europa forte e unita le pericolose avventure del nuovo impero del male incarnato dalla Russia di Putin. 

                                                ANTONIO MASTINU

Fonte: Articolo aggiornato dello stesso autore, pubblicato nel numero 7 dell'anno 1984 della rivista mensile "Sardegna oltre". 

Nella foto: Alcide De Gasperi.